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Mini: la storia di un’auto dallo stile iconico

Mini 60 anni
La Mini compie gli anni. Dalla piccola e rivoluzionaria vettura di Issigonis ai trionfi nal rally. La Mini oggi, simbolo di stile e tecnologia

Ecco la incredibile storia della Mini: nata il 26 agosto 1959. Le supercar accendono gli entusiasmi ma, proprio perché accessibili a pochi, non incidono sulla vita della popolazione.

La storia della Mini

Automobilisticamente parlando, la vera differenza l’hanno sempre fatta le utilitarie, modelli che tutti o quasi tutti possono permettersi. Una banalità talmente ovvia che a volte sfugge. Ogni grande nazione ha avuto ad un certo punto del XX secolo un’auto che, avviando la motorizzazione di massa, ha trasformato l’intero tessuto sociale, rivoluzionando perfino il costume, al punto che ancora oggi viene ricordata e venerata nonostante la sua produzione sia cessata da decenni.

La Ford T negli USA, il Maggiolino Volkswagen in Germania, la Citroën 2CV e la Renault 4 in Francia, la Fiat 600 e la Fiat 500 in Italia, la Ziguli-Lada 2101-Fiat 124 in URSS: tutte vetture dalle dimensioni piccole o comunque compatte (la stessa 124 era lunga solo 4 metri, una citycar in rapporto agli spazi russi). In Gran Bretagna tale ruolo lusinghiero spetta senza dubbio alla Mini. Venne presentata ufficialmente proprio il 26 agosto 1959; vogliamo quindi dedicarle questo doveroso omaggio.

Mini 60 anni: le origini

Mini 60 anni
Sir Alec Issigonis accanto alla prima Mini prodotta nel 1959

La ricetta per un’auto popolare di successo nel Novecento? Prezzo basso, economicità d’esercizio, dimensioni molto contenute ma allo stesso tempo sufficiente spazio nell’abitacolo, infine un design accattivante. Tutti i modelli sopra elencati rispondono a tali caratteristiche. La Mini le portava all’estremo e in più aveva anche intrinseche doti sportiveggianti, come l’eccellente tenuta di strada, l’agilità e uno scatto mica male. Per inquadrare correttamente l’origine della Mini dobbiamo risalire al 1956. La crisi del canale di Suez aveva provocato una grave scarsità nell’approvvigionamento del carburante, particolarmente nel Regno Unito, dove la benzina venne razionata e di conseguenza il suo prezzo s’impennò.

Mini classica, Final Edition, 2000

Quindi si diffusero rapidamente per le strade britanniche dei veicoli minuscoli, assimilabili alle odierne microcar; poco più che motocicli, anche perché spesso non avevano nemmeno quattro ruote. L’italiana Isetta prodotta su licenza dalla BMW ne era l’esempio più popolare. Un po’ la stessa situazione che condusse in Italia alla progettazione della Fiat 500 (uscita nel 1957), piccolissima vetturetta a due posti. Chi fosse riuscito a portare sul mercato un’auto estremamente compatta e leggera, ma al contempo capace di farci entrare quattro persone, avrebbe sbancato. La British Motor Corporation (BMC) affidò questa missione critica ad Alec Issigonis, ingegnere di origini greche con un passato nelle corse, dagli anni Trenta lavorava alla Morris, la quale nel 1952 si fuse con la Austin dando vita per l’appunto alla BMC.

Una scatoletta incredibilmente spaziosa

Mini 60 anni
Nella Mini l’80% dello spazio era a disposizione di passeggeri e bagagli

I vincoli che i vertici della BMC posero ad Issigonis nella progettazione erano pochi ma chiari e pesanti: le minori dimensioni possibili ma allo stesso tempo quattro ruote e quattro posti; doveva inoltre entrarci il motore a 4 cilindri già in produzione per la Austin A35; una delle principali chiavi per contenere i costi di produzione è sempre stata quella di evitare la costruzione di un nuovo motore. Issigonis applicò tutte le soluzioni tecniche più moderne. Quindi motore anteriore trasversale per contenere gli ingombri, trazione anteriore per ricavare sufficiente spazio per due passeggeri dietro grazie all’assenza dell’albero di trasmissione, cambio montato sotto al motore e unica coppa dell’olio. Poi ancora: sospensioni a ruote indipendenti con elementi elastici in gomma invece delle molle, ruote minuscole da 10 pollici di diametro, così i parafanghi non rubavano troppo spazio all’abitacolo. Poiché il bagagliaio, in cui si trovava il serbatoio della benzina, era molto piccolo, il portello fu incernierato in basso in modo da poter caricare alla bisogna anche oggetti ingombranti.

Mini 60 anni
Il profilo inconfondibile della Mini classica

La particolarità dell’abitacolo, oltre a quella di essere relativamente spazioso per quattro, era data dal volante: esso era inclinato quasi orizzontalmente, quindi si doveva guidare come un camion; inoltre chi aveva una statura piuttosto alta era costretto a guidare col volante letteralmente tra le gambe; se non si divaricavano, non c’era lo spazio sufficiente. Ogni centimetro veniva sfruttato al massimo, perché la lunghezza complessiva era decisamente contenuta: solo 305 cm, appena otto in più della 500 ma quattro posti contro due, mentre era di 12 cm più corta della 600. Larghezza 140 cm, altezza 135 cm per una massa di 585 Kg completavano le misure minuscole. Praticamente non aveva sbalzi, dato il passo di 203 cm. Nel complesso, l’80% dello spazio totale restava a disposizione di passeggeri e bagaglio.

Mini 60 anni
Il bagagliaio della Mini classica si apriva dall’alto

L’estrema compattezza e il baricentro molto basso regalavano a questa vettura maneggevolezza e tenuta da vera sportiva. Essendo molto leggera, la Mini poteva sfruttare con profitto anche un motore minuscolo come il 4 cilindri sopra accennato, però depotenziato a 34 cavalli contro 50 (tramite abbassamento della cilindrata ad 848 cc contro i 948 iniziali), altrimenti le prestazioni sarebbero state troppo elevate, quindi si sarebbero resi necessari interventi a freni e telaio che avrebbero alzato eccessivamente il prezzo. Ma anche così la Mini raggiungeva una velocità massima di 119 Km/h. La vettura venne commercializzata sotto due marchi differenti: Austin Seven e Morris Mini-Minor.

Mini Cooper, via le briglie

Mini 60 anni
Timo Mäkinen al volante della Mini Cooper S durante il Rally di Montecarlo 1965

L’accoglienza iniziale del pubblico verso la Mini fu freddina, anche perché emersero alcuni problemi di qualità. Ma le difficoltà iniziali vennero superate rapidamente, la gente cominciò ad abituarsi a quella forma strana e ne apprezzò presto i vantaggi. La vera differenza comunque la fecero le corse. Tutto ruotò intorno a John Cooper, ex pilota e titolare della omonima scuderia che proprio nel 1959 vinse il suo primo titolo mondiale in Formula 1 sia tra i costruttori che tra i piloti con Jack Brabham; nel 1960 arrivò il bis in entrambe le classifiche. John Cooper era amico di lunga data di Issigonis, dagli anni in cui entrambi correvano in pista. Le doti strutturali della Mini costituivano un ottimo potenziale per le competizioni. Quindi Cooper propose la preparazione di una versione spinta subito nel 1960.

Il capo della BMC, George Harriman, diede il benestare, quindi venne approntata una piccola serie di mille esemplari: la Mini Cooper, appunto. La potenza saliva a 55 cavalli, la velocità incrementata a 130 Km/h. Il cambio venne configurato per un uso sportivo, mentre i freni a disco anteriori permettevano l’adeguamento alle maggiori prestazioni. Issigonis, in un primo momento perplesso, ci prese gusto e volle una versione ancora più brillante, destinata proprio alle corse: la Mini Cooper S. L’alesaggio aumentò fino ai limiti dello spazio disponibile, così la cilindrata salì a 1.071 cc, quel tanto che bastava per restare sotto il limite di 1.100 cc dei regolamenti sportivi per la classe a cui la vettura era destinata. La potenza massima arrivò a 70 cavalli a 6.200 giri, mentre il regime massimo raggiungeva addirittura 7.200 giri. Ai freni venne aggiunto un servocomando. Velocità massima per la versione stradale di 160 Km/h.

Rally di Montecarlo, regno della Mini Cooper

Mini 60 anni
Timo Aaltonen sulla Mini Cooper S al Rally di Montecarlo 1964

Una lezione che tutti i costruttori di automobili impararono fino dalla pionieristica epoca d’inizio XX secolo è che le corse fanno vendere. Soprattutto quando si vincono. Così anche la Mini. Per la vetturetta inglese il terreno di conquista fu il Rally di Montecarlo. Già nel 1962 Rauno Aaltonen si mise in luce contro auto ben più potenti, ma andò fuori strada durante l’ultima speciale mentre era in testa. Nel 1963, al volante della Mini Cooper S, vinse nella sua classe e arrivò terzo assoluto. Poi si aprì l’epoca d’oro.

La Mini Cooper S vinse nella classifica assoluta il Rally di Montecarlo dal 1964 al 1967; tuttavia nel 1965 la vettura (che monopolizzò il podio) fu squalificata per fari non conformi ai regolamenti, una decisione che fa discutere ancora oggi. Paddy Hopkirk vinse nel 1964, Timo Mäkinen nel 1966 (fu primo anche nel 1965) e Aaltonen nel 1967. Negli stessi anni la Mini conquistò anche il Rally del Mille Laghi, altra impresa memorabile. Per molti anni si affermò inoltre nelle corse in pista in categoria Turismo, a livello europeo oltre che britannico. Su una Mini Cooper cominciò anche una carriera a dir poco illustre: quella di Niki Lauda, il quale nel 1968 vinse le sue prime gare proprio al volante della piccoletta inglese, prima di passare alle monoposto. Vettura su cui si erano fatti le ossa negli anni Sessanta diversi altri futuri campioni della Formula 1: Graham Hill, Jackie Stewart, John Surtees, Jochen Rindt e James Hunt.

Le altre Mini

Mini 60 anni
Mini Clubman Estate, la familiare, 1969

Le vittorie nelle competizioni resero la Mini un’auto di ottimo successo commerciale che le garantì una vita produttiva molto lunga. Quella che oggi identifichiamo come Mini classica venne fabbricata fino al 2000 in sette generazioni complessive. Quell’anno il 4 ottobre fu prodotto l’ultimo esemplare, una Cooper Sport rossa, che portò la cifra definitiva a 5.387.862 unità. Come tutti i modelli popolari, anche la Mini fu proposta in diverse varianti di carrozzeria. Si cominciò dalla station wagon, o familiare che dir si voglia, chiamata Morris Mini Traveller e Austin Mini Countryman. Caratteristiche le doppie porte posteriori e la finitura in legno sui profili della carrozzeria.

Mini 60 anni
La Mini Cabrio classica

Nel 1969 la BMC diventò British Leyland ed eliminò la doppia denominazione Austin-Morris; la Mini si trasformò in un brand autonomo. Venne introdotta una versione con allestimenti lussuosi e un restyling frontale non precisamente riuscito, si chiamava Mini Clubman. Molto caratteristica e simpatica invece la versione decappottabile, la Mini Cabrio. Per alcuni anni la Mini venne prodotta anche in Italia su licenza nella fabbrica della Innocenti dal 1965 al 1975 (e dal 1974 al 1993 nella nuova serie). La Mini Van era essenzialmente una Countryman in versione furgoncino. La Mini Moke una graziosa spiaggina. Ci fu anche una incredibile Mini Pickup derivata dalla Van. Non dimentichiamo nemmeno due varianti particolari degli anni ’60, le lussuose ma poco fortunate Wolseley Hornet e Riley Elf.

La BMW e la nuova Mini

Mini 60 anni
Mini Cooper D, 2006

Alla fine degli anni ’80 la Mini non aveva più particolari elementi che ne giustificassero l’esistenza come utilitaria a basso prezzo, troppo tempo era passato dagli esordi. Ma la sua popolarità l’aveva ormai resa un oggetto di stile, costume e distinzione. Divenne quindi un’auto raffinata ad alto valore aggiunto. Nel frattempo la British Leyland si tra trasformata in Rover e navigava in acque molto cattive. Nel 1994 l’azienda venne acquisita dal Gruppo BMW. Nel 2000 i tedeschi decisero di tagliare le perdite della Rover smembrandola. I marchi MG e Rover vennero ceduti al consorzio britannico Phoenix, mentre la Land Rover fu venduta alla Ford. BMW tenne per sè la Mini, per la quale aveva importanti progetti.

Nel 2001 le norme, le esigenze, la tecnologia e la società stessa erano anni luce distanti da quelle del 1959, impensabile continuare a produrre la Mini di Issigonis. Così nacque una Mini tutta nuova, che poco aveva a che fare con quella classica. Ne mantenne tuttavia lo spirito: una vettura compatta, agile e divertente da guidare, dallo stile decisamente inconfondibile. Naturalmente adeguata ai tempi. Ma non più un’utilitaria a basso prezzo, bensì una vera auto premium. A livello tecnico venne mantenuta l’impostazione della trazione anteriore con motore trasversale, una soluzione del resto utilizzata universalmente da decenni.

Mini 60 anni
Mini Countryman All4 2018, il crossover

La nuova Mini One, modello d’ingresso, aveva un motore 1.6 a quattro cilindri, 16 valvole e 90 cavalli. La Mini Cooper saliva a 115 cavalli. Sospensoini McPherson davanti e Multilink dietro, quattro freni a disco con diversi aiuti elettronici, compresi il controllo di trazione e stabilità. Ma la BMW, essa stessa una casa con lo sport nel sangue, non dimenticò certo gli appassionati delle alte prestazioni e la guida tipo kart tipica della Mini. Così nel 2002 arrivò la nuova Mini Cooper S sovralimentata con compressore volumetrico, ben 163 cavalli e 218 Km/h di velocità massima. Tuttavia bisognava tenere conto anche di chi amava semplicemente lo stile ma voleva contenere i consumi, quindi la gamma venne completata anche da una versione a gasolio, la Mini One D con un 1.4 turbodiesel common rail da 75 cavalli e 4,8 l/100 Km.

Nel 2006 arrivò la nuova generazione. La Mini Cooper S, ora spinta da un 1.6 turbo twin scroll ad iniezione diretta, raggiungeva 175 cavalli e 225 Km/h. La Mini One D invece si dotava di un diesel in alluminio 1.6 da 110 cavalli e 240 Nm di coppia e 3,9 l/100 Km. Mentre esordiva la nuova versione di punta derivata dalle corse del Mini Challenge, cioè la Mini John Cooper Works da 211 cavalli e 238 Km/h. Immancabile la Cabrio. Tornarono inoltre le versioni Clubman e Countryman, quest’ultima essenzialmente un crossover, dotato anche di trazione integrale.

Oggi e domani. Mini ibrida ed elettrica

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Mini Cooper S E, l’elettrica del 2020

Nel 2014 è uscita l’attuale generazione della Mini, sempre più sofisticata e tecnologica. La lunghezza della berlina ora raggiunge 382 cm, massa da 1.160 a 1.325 Kg, mentre la Countryman arriva a 409 cm con massa fino a 1.495 Kg. Diverse le motorizzazioni, a tre cilindri 1.2 e 1.5, quattro cilindri 2.0 a benzina e 1.5 diesel. Potenze da 75 a 231 cavalli. La novità è la motorizzazione ibrida plug-in, scelta per la Countryman Cooper SE All4.

Accanto al tre cilindri a benzina da 134 cavalli aggiunge un motore elettrico da 88 cavalli per una potenza di sistema di 221 cavalli, oltre alla possibilità di viaggiare in modalità solo elettrica per circa 40 Km. Il futuro è già arrivato. Nel 2019 è stata presentata la Mini Cooper S E, cioè la Mini Elettrica, prima auto di produzione a sole batterie di questa marca (nel 2009 venne prodotto un prototipo dimostrativo, la Mini E). Motore sincrono sull’asse anteriore da 184 cavalli, autonomia da 235 a 270 Km grazie ad un pacco di batterie al litio da 32,6 kWh di capacità. La Mini di domani. (visita il sito ufficiale)

(Foto ufficio stampa)

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