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24 ore di Le Mans: storie magiche e vittorie epiche

24 Ore di Le Mans
Il 26 maggio 1923 si corse la prima edizione della 24 ore di Le Mans. Una storia magica costellata di grandi vittorie e una terribile tragedia.

Noi italiani, spettatori di corse automobilistiche, siamo un po’ troppo sbilanciati verso la Formula 1. Principalmente perché la Ferrari partecipa oggi in forma ufficiale esclusivamente a questo campionato. Ma esiste un vasto mondo di competizioni alternative la cui spettacolarità e fascino è in grado di raggiungere e spesso anche superare quelle dei gran premi. Parlando di corse singole, l’esempio più autenticamente eroico è certamente la 24 ore di Le Mans.

24 ore di Le Mans

Diversamente dalla 500 miglia di Indianapolis, qui la velocità pura non è la cosa più importante. La miscela vincente deve sì comprendere potenza e prestazione, ma va necessariamente affiancata da affidabilità meccanica, intelligenza tattica nella gestione dal box, rapidità di decisione nelle emergenze; per quanto riguarda i piloti servono contemporaneamente piede pesante, saggezza, resistenza fisica, coraggio e lucidità per andar forte al buio e sotto la pioggia (e anche un po’ di foschia) quando serve, oppure amministrare ragionevolmente la macchina per arrivare in fondo. Non per le tre ore di Indy (dove non si corre mai quando piove) o l’ora e mezza della F.1 (dove la pioggia è ormai monopolio della safety car) ma per 24 lunghissime ore.

Il 26 maggio 1923, 94 anni fa, si corse la prima edizione. In attesa del weekend del 17 e 18 giugno 2017, quando si correrà l’edizione numero 85 che vivrà secondo i pronostici del duello fra Porsche e Toyota, ripercorriamo il funzionamento e le tappe principali della leggenda di questa corsa, dove si sono misurati i migliori piloti del mondo e dove si sono date battaglia le case automobilistiche più prestigiose. E che ha saputo stregare anche stelle di Hollywood quali Paul Newman e Steve McQueen.

Il Circuito delle Sarthe

Non si può comprendere la 24 ore di Le Mans senza avere un’idea generale di cosa sia la pista in cui si corre. Innanzitutto si tratta di un tracciato semipermanente: parte di esso è una strada statale, regolarmente aperta alla circolazione negli altri periodi dell’anno. Il suo nome ufficiale è “Circuito delle 24 ore” (perché si corre anche con moto e camion) ma è universalmente noto come “Circuito della Sarthe”.

E’ collocato nella cittadina di Le Mans, dipartimento della Sarthe, regione della Loira, nord-ovest della Francia. Si tratta di una pista lunghissima, velocissima e pericolosissima. I superlativi suoneranno male ma in questa occasione sono accurati, vediamo subito perché.

Oggi la pista misura 13,629 Km; il suo tratto più veloce, il leggendario e pauroso rettilineo dell’Hunaudières, in passato era lungo ben 6 Km. Ovviamente le vetture raggiungevano velocità spaventose, ma questo era solo parte del problema. A questa gara partecipano normalmente più di 50 vetture appartenenti a classi diverse, i cui i differenziali di velocità sono considerevoli. Non si contano più gli incidenti dovuti a tamponamenti fra i prototipi e le GT che cambiano corsia per superarsi tra loro, senza avvedersi dei missili che stanno arrivando da dietro.

Quando nel 1988 una WM P88 motorizzata Peugeot raggiunse su quel rettilineo la velocità record di 405 Km/h, ci si rese conto che forse si doveva intervenire. Così, anche se fra molte polemiche, nel 1990 apparvero due chicane. Ciò non significa che attualmente si vada piano.

Il record sul giro, stabilito nel 2015 in qualifica dalla Porsche 919 Hybrid di Neel Jani, è di 3’16″887, corrispondente alla media di 249,2 Km/h. Per fare un confronto, il record sul giro in Formula 1 a Monza è di 1’20″089 (Rubens Barrichello, Ferrari, 2004), alla media di 260,4 Km/h. Non troppo lontano, quindi. Nonostante negli ultimi anni le misure di sicurezza siano enormemente aumentate, la pericolosità di questo circuito resta devastante. Tra i soli piloti si contano in tutto 22 morti.

Il disastro del 1955: il peggiore di tutti i tempi

24 ore di Le Mans: un discorso a parte fu la catastrofe dell’11 giugno 1955 che provocò 84 morti e circa 180 feriti, il peggior disastro dell’intera storia automobilistica. Riepiloghiamo i fatti. Ore 18:26, le vetture di vertice avevano compiuto 35 giri e stavano cominciando le prime soste ai box per rifornimenti e cambi pilota; in testa stavano duellando Mike Hawthorn su Jaguar e Juan Manuel Fangio sulla favorita Mercedes-Benz 300 SLR.

Giunti nei pressi del traguardo, poco prima dell’ingresso alla pit lane (che si trova sulla destra del tracciato) Hawthorn superò il doppiato Lance Macklin su Austin Healey, seguito a pochi metri da Pierre Levegh (anch’egli doppiato) su un’altra Mercedes e da Fangio. Tuttavia Hawthorn, sfruttando i superiori freni a disco della sua Jaguar, tagliò la strada a Macklin in rientro per imboccare la pit lane all’ultimo momento. Successivamente Hawthorn dichiarò di aver alzato il braccio per segnalare l’intenzione di rientrare. A quell’epoca non esisteva una corsia di decelerazione per l’ingresso box.

Questa manovra tuttavia colse di sorpresa Macklin, il quale scartò improvvisamente verso il centro della pista; in quel momento sopraggiungeva velocissimo Levegh che non fece in tempo ad evitarlo. La ruota anteriore destra della sua vettura urtò la posteriore sinistra della Austin e innescò un effetto trampolino, mentre Fangio riuscì quasi miracolosamente ad evitare contatti passando millimetricamente. Niente vie di fuga in quegli anni, almeno non come le intendiamo oggi. La Mercedes di Levegh volò nella tribuna facendo una strage. Morti il pilota e 83 spettatori, feriti altri 180. La corsa non fu però interrotta, nonostante il caos intorno al traguardo per i soccorsi. Gli organizzatori successivamente si giustificarono dicendo che non volevano creare il panico. Evidentemente non consideravano centinaia di morti e feriti in tribuna ragione sufficiente per spaventare il pubblico. La squadra Mercedes comunque ritirò le proprie vetture superstiti.

Per la cronaca, la corsa fu vinta da Hawthorn. Ma nel resto della stagione furono cancellate parecchie altre gare. La stessa Mercedes si ritirò dalle competizioni alla fine del 1955. Nei filmati che ancora oggi è possibile trovare in rete, è molto suggestivo il momento in cui Alfred Neubauer, mitico direttore sportivo della Mercedes fin dagli anni Trenta, dopo aver coperto con un telo le vetture fu inquadrato in lacrime. Fu la fine di un’epoca in tutti i sensi. Da quella tragedia cominciò a farsi strada nel mondo delle corse l’idea di pensare alla sicurezza, anche se gli sviluppi furono ancora molto lenti.

I bolidi di oggi, Prototipi ibridi e GT Ultraveloci

Il regolamento tecnico e sportivo della 24 ore di Le Mans è talmente complicato da rivaleggiare con quello della Formula 1. Sintetizzando al massimo, esistono quattro categorie o classi, due per vetture prototipo e due per vetture GT.

Si parte dalla LMP1. Sono prototipi dotati di un sistema di recupero d’energia, quindi ibridi; è qui che si affrontano le case ufficiali. Possono partecipare anche auto a sola alimentazione tradizionale, riservate però alle scuderie private. Non c’è limite di cilindrata, si possono usare motori a benzina o diesel, aspirati o sovralimentati. Dopo il ritiro dell’Audi al termine del 2016 sono rimasti solo motori a benzina.

Il peso minimo per una LMP1 ibrida è di 875 Kg, che scendono a 830 per le altre. Le potenze delle ibride oggi superano i 1.000 cavalli. Per le auto ibride esistono dei limiti di energia utilizzabile ogni giro, misurata in megajoule. I costruttori possono scegliere una fra quattro classi di energia consumabile (2,4,6 o 8 MJ). La scelta influisce sul quantitativo di carburante ammesso e sul bilanciamento tra potenza proveniente dal motore a benzina e quella dal recupero di energia elettrica. Troppo complesso andare oltre. L’edizione 2017 conta 6 partecipanti in classe LMP1, di cui 5 ibride: 3 Toyota e 2 Porsche; la vittoria assoluta sarà affar loro, salvo imprevisti colossali (sempre in agguato). L’altra vettura è una Enso-Nissan del team Bykolles.

Poi abbiamo i prototipi di classe LMP2, la più numerosa ed equilibrata, in cui l’attenzione è verso il contenimento dei costi. Riservata a team indipendenti. Vetture aperte o chiuse. Motore unico: Gibson V8 4.0 aspirato, 600 cavalli. Telai prevalentemente Dallara, Oreca e Ligier. Peso minimo 930 Kg.

Passiamo alle vetture di classe GT. Devono derivare da modelli di serie prodotti in almeno 300 esemplari in 24 mesi se omologate nel 2016 oppure 100 esemplari (o 25 per i piccoli costruttori) se omologate nel 2017. Per i motori aspirati la cilindrata massima è di 5.500 cc, mentre è di 4.000 per i turbo. Peso minimo 1.245 Kg. Le vetture GT si dividono in due classi: LM GTE Pro è riservata ai piloti professionisti e alle vetture nuove; LM GTE Am è aperta ad equipaggi con piloti dilettanti (i cosiddetti Gentlemen Drivers) e riservata a vetture omologate da almeno un anno.

Le vetture partecipanti sono Ford GT, campione in carica, poi Ferrari 488 GTE, Porsche 911 RSR, Chevrolet Corvette C7.R e Aston Martin Vantage. Le potenze viaggiano tra 650 e 700 cavalli.

Per tutte le classi il regolamento prevede il criterio del “Balance of Performance”: possono essere applicati dalla direzione gara alcuni limiti supplementari (zavorre, aerodinamica, carburante) alle auto più veloci nelle prove, nel tentativo di equilibrare le prestazioni.

I grandi cicli vincenti delle case automobilistiche

La 24 ore di Le Mans non s’improvvisa. Una vittoria singola potrebbe apparentemente anche arrivare dalla fortuna, però per farsi trovare al posto e al momento giusto quando la dea bendata lancia i dadi servono abilità, competenze, intelligenza e coraggio. E tanti quattrini.

A maggior ragione quando le vittorie si ripetono nel tempo. Negli oltre novant’anni della sua storia, Le Mans ha visto il susseguirsi di molti cicli vincenti, in cui una marca infilava vittorie a ripetizione per più anni di seguito. Fanno tutti parte della leggenda. Il primo ciclo fu quello della Bentley, negli eroici anni Venti: 5 successi dal 1924 al 1930. Subito dopo s’instaurò un dominio dell’Alfa Romeo per 4 anni consecutivi, sulla mitica 8C 2300, dal 1931 al 1934; nel 1933 l’assoluto Tazio Nuvolari si aggiudicò la corsa nell’unica edizione a cui abbia mai partecipato, quasi ordinaria amministrazione per lui.

Dopo la guerra, negli anni Cinquanta, vanno ricordati i successi della Jaguar, 4 dal 1951 al 1958. Indimenticabile nella prima metà degli anni Sessanta il dominio totale della Ferrari, soprattutto con la celebre 250 Testa Rossa: 6 successi consecutivi dal 1960 al 1965. Quella decade si chiuse con il poker della Ford GT 40, dal 1966 al 1970, quando Henry Ford II volle far pagare ad Enzo Ferrari l’affronto di pochi anni prima, quando il signore di Maranello fece saltare improvvisamente l’accordo per cedere la propria azienda al colosso di Detroit.

Negli anni Settanta non va dimenticata la tripletta della Matra Simca dal 1972 al 1974, in mezzo a varie vittorie della Porsche. Il vero ciclo da dominatori della casa di Stoccarda-Zuffenhausen va però collocato negli anni Ottanta: ben 7 trionfi consecutivi, soprattutto con i modelli 956 e 962. La Porsche ha ottenuto molti altri successi prima e dopo, è la vera marca simbolo di Le Mans.

Il XXI secolo è legato ancora ad una marca tedesca del gruppo Volkswagen: Audi. Bastano i numeri, 13 successi dal 2000 al 2014, con due sequenze di 5 consecutivi, un record assoluto. Inoltre la casa di Ingolstadt è stata la prima a portare alla vittoria un motore diesel. Ma la regina della 24 ore di Le Mans resta sempre la Porsche dall’alto dei suoi 18 titoli totali (parliamo sempre e solo di vittorie assolute). Dopo Audi c’è la Ferrari con 9 vittorie, seguono Jaguar con 7, Bentley e Ford con 6.

I Signori di Le Mans: i piloti più vittoriosi

Dal lato dei piloti vanno certamente ricordati coloro che hanno inanellato successi in serie alla 24 ore di Le Mans. Il recordman assoluto, che resterà tale ancora a lungo, è il danese Tom Kristensen con 9 vittorie, la maggior parte con l’Audi, dal 1997 al 2013. Segue il belga Jacky Ickx che gli appassionati di Formula 1 ricorderanno per i suoi trascorsi sulle monoposto Ferrari, senza però ottenere risultati di rilievo.

Invece sulla Sarthe la storia è stata diversa: 6 vittorie dal 1969 al 1982 tra Ford e Porsche. Segue l’inglese Derek Bell, 5 successi tra il 1975 e il 1987; a pari merito altri due piloti: il tedesco Frank Biela e l’italiano Emanuele Pirro, entrambi con l’Audi dal 2000 al 2007. Con 4 vittorie ciascuno troviamo: il belga Olivier Gendebien, protagonista del grande ciclo Ferrari dal 1958 al 1962; il francese Henri Pescarolo, vera e propria gloria transalpina, tre volte con Matra e una con Porsche dal 1972 al 1984; infine un altro francese, Yannick Dalmas, dal 1992 al 1999 con Peugeot, Porsche, BMW e McLaren-BMW.

Hollywood a Le Mans: Steve McQueen e Paul Newman

Lo sport vive di grandi rivalità e il cinema non è da meno. Parecchi attori hanno alternato la macchina da presa alla macchina da corsa. Per quanto riguarda la 24 ore di Le Mans è rimasto certamente celebre l’impegno, seppure molto diverso, di due superstar di Hollywood del passato. Steve McQueen e Paul Newman erano arcirivali nell’ambiente cinematografico ed entrambi avevano le corse nel sangue, al punto da avere effettivamente partecipato a molte competizioni raggiungendo un livello quasi professionale.

Steve McQueen partecipò in gioventù e anche in età avanzata a diverse gare, sia in moto che in auto. Nel 1970 finì secondo assoluto alla 12 ore di Sebring su una Porsche 908 (vincendo la propria classe), secondo solo alla Ferrari 512S di gente come Mario Andretti, Nino Vaccarella e Ignazio Giunti. Nello stesso anno tentò di partecipare alla 24 ore di Le Mans su una Porsche 917 (la vettura favorita) insieme a Jackie Stewart, parallelamente al progetto di girare proprio un film su Le Mans pochi mesi dopo, attraverso la casa di produzione di sua proprietà. Ma le compagnie assicurative impegnate sul film minacciarono di ritirare la copertura e allora l’attore rinunciò. Portò però a compimento la pellicola con grande spiegamento di mezzi. S’intitolava appunto “Le Mans”. Era molto suggestiva ma fu un fiasco al botteghino e gli provocò tremendi problemi finanziari.

Diversa la vicenda di Paul Newman. Il divo dagli occhi blu ebbe una lunghissima carriera come pilota, infatti corse fino al 2007, quando aveva la bellezza di 81 anni. E nel 1979 partecipò veramente alla 24 ore di Le Mans su una Porsche 935. Si piazzò secondo assoluto, sfiorando di poco il trionfo (vincendo però la propria classe). Quando le leggende incontrano le leggende. (sito ufficiale)

LEGGI ANCHE: 24 Ore Le Mans 2016: Ford trionfa 50 anni dopo l’epica vittoria.

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