Tutti lo chiamano Supreme Barletta: il legal fake che spopola in Italia

Il brand Supreme nasce a New York nel 1994, quando il fondatore James Jebbia decide di aprire un piccolo negozio a Manhattan, in Lafayette Street. L’investimento iniziale è di appena 12mila dollari ma Supreme diventa ben presto punto di riferimento per tutti gli skaters di New York, che proprio negli anni Novanta iniziano a proliferare nella Grande Mela e a diffondere il loro stile di abbigliamento fatto di jeans e felpe comode.

La storia di Supreme

Nel corso del tempo, oltre agli skaters, Supreme è riuscito ad attrarre a sé artisti di vario genere (tra cui anche fotografi e musicisti) che hanno contribuito a dare prestigio al marchio che oggi tutti conosciamo. Personaggi come Gio Estevez, Kenneth Cappello, Terry Richardson o Harmony Korine, con la loro presenza, hanno trasformato Supreme in brand cult, donandogli fascino e prestigio ma anche grande popolarità. (sito ufficiale Supreme)

Il mistero del marchio

E con la crescita del marchio è aumentata la curiosità anche attorno alla sua origine, tutt’oggi rimasta un mistero. Uno dei misteri principali, ad esempio, sembra legato al logo del brand Supreme, che a quanto pare non apparterrebbe al fondatore James Jebbia perché questi non potrebbe registrarlo. Il motivo? Lo stesso sarebbe stato preso da un poster propaganda dell’artista Barbara Kruger, che ovviamente non avrebbe accolto con favore la cosa.

Nasce Supreme Italia: un legal fake

Il marchio Supreme, nel nostro Paese, ha dato il via ad una serie di discussioni proprio per via del fatto che il marchio Supreme Italia non era stato registrato dall’azienda americana. Una ditta di Barletta ha così deciso di lanciare proprio questo brand (Supreme Italia), puntando sul fatto che non vi sarebbero stati vincoli legali per non farlo.

Il fenomeno in questione, nel settore, viene definito legal fake, falsi legali: pur non trattandosi di prodotti originali Supreme, gli stessi non potrebbero essere considerati illegali, in quanto l’azienda di Barletta avrebbe registrato il marchio.

Come “combattere” il fenomeno dunque?! Per gli addetti ai lavori del settore commerciale, potrebbe essere sufficiente, da parte dei clienti, informarsi correttamente in merito a ciò che si sta per acquistare, e soprattutto acquistare prodotti originali e non prodotti che rechino il logo e basta.

Nel caso di Supreme (Guarda cosa c’è adesso in vendita su Amazon), infatti, siamo di fronte ad un marchio con target d’utenza piuttosto giovane, fatto di soggetti, dunque, che potrebbero essere maggiormente interessati alla firma che all’autenticità e alla storia del brand che c’è dietro. In definitiva, interesserebbe più mostrare agli altri il logo Supreme anziché indossare un capo effettivamente Supreme Italia.

Tutti lo chiamano Supreme Barletta

La presenza di legal fake Supreme Italia (Supreme Barletta, come chiamano il brand “clone” gli addetti ai lavori), a detta dei più non contribuirebbe a far accrescere l’aura di fascino che avvolge il marchio. E anche se alcuni riconoscono che esso possa aver contribuito, in parte, a sdoganare Supreme in Italia, la condanna è pressoché unanime, soprattutto nei confronti dei negozi che continuerebbero a rifornirsi di prodotti “Supreme Barletta”.

L’esistenza dei legal fake è forse un aspetto che andrebbe affrontato dal punto di vista normativo, visto che la sua presenza sarebbe dovuta soprattutto all’assenza di leggi che possano regolare tale fenomeno.

LEGGI ANCHE:
Fenomenologia del ‘legal fake’ made in Barletta.

Fuck Em all’italiana: il caso di Supreme Barletta.

La classifica dei 100 migliori marchi al mondo.

Barbara Vellucci

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