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Ayrton Senna: un campione indimenticabile amato da tutti

Ayrton Senna popart
Il 1° maggio 1994 ci lasciava Ayrton Senna: è stato uno dei più grandi piloti di tutti i tempi. Forse il più amato di sempre. Ecco il racconto della sua vita sempre al massimo e della rivalità con Alain Prost.

Ayrton Senna ci lasciava il 1° maggio 1994. Ecco la storia che merita di essere raccontata. E l’uomo che merita di non essere mai dimenticato. Domenica 1° maggio 1994, mattina, circuito di Imola, warm-up del Gran Premio di San Marino di Formula 1. Ayrton Senna è appena sceso in pista con la sua Williams, sta per lanciarsi. E’ in collegamento radio con la televisione francese TF1, commenterà in diretta il proprio giro. Esordisce così: “Per cominciare, un saluto ad Alain. Ci manchi, Alain”. Poi affonda il piede nell’acceleratore e si lancia in un giro mozzafiato, durante il quale descrive le varie curve del tracciato come se si trovasse comodamente seduto in poltrona.

AYRTON SENNA

Senna (nato il 21 marzo 1960) stava salutando ovviamente Alain Prost, il suo arcirivale che si era ritirato al termine della stagione precedente e aveva cominciato una nuova attività come commentatore televisivo. Prost, contro cui si era preso a ruotate per tanti anni. Prost, verso il quale aveva indirizzato più volte velenose frecciate, da lui ricambiato altrettanto duramente. Eppure quel mattino lo aveva affettuosamente accolto. Sorprendendo lo stesso francese, che si trovava ai box e aveva sentito in diretta il saluto del brasiliano. “Spero che questo possa essere l’inizio di un’amicizia”, disse in quel momento ai microfoni di TF1. Tutti sappiamo cosa invece accadde poche ore dopo.

UN UOMO ECCEZIONALE, PAROLA DI AVVERSARIO

La misura di un uomo dalle forti passioni come Senna può essere accuratamente espressa da questi altri due aneddoti. Il primo: dopo che il campione brasiliano fu trasportato in elicottero all’ospedale di Bologna in un impossibile tentativo estremo di salvargli la vita, i commissari di gara trovarono nell’abitacolo della sua monoposto una bandiera austriaca ripiegata. Si venne a sapere che Ayrton aveva programmato di sventolarla davanti al pubblico una volta tagliato il traguardo al termine del gran premio, in segno di omaggio verso Roland Ratzenberger, deceduto il giorno prima per un incidente in qualifica.

Il secondo: Prost, molti anni dopo, in un’intervista al periodico francese Roadbook Magazine ancora oggi visibile in rete su You Tube (come il giro del warm-up), ha dichiarato: “Ayrton era in pista aggressivo, complicato e a volte molto pericoloso. Ma ciò che si deve capire è che questi sono i tratti tipici degli uomini eccezionali, i soli da cui possono nascere i grandi duelli. Egli era totalmente diverso da tanti altri piloti carismatici che ho conosciuto. Non è possibile paragonarlo a nessun altro; era veramente eccezionale, per questo il nostro lungo duello fu superbo”.

Ancora più significativo il seguito di quell’intervista: “Proprio sul podio del GP d’Australia 1993 che sanciva il mio ritiro, Senna mi strinse la mano e mi prese da parte. Da quel momento le cose tra noi cambiarono e progredirono. Posso dire che solo da quel punto ho cominciato a conoscerlo veramente. Da allora restammo in contatto quasi quotidianamente; così ho imparato a comprendere come si sentiva prima di ogni gara quando era il mio compagno di squadra ma anche il mio rivale, da dove nascevano le sue motivazioni nei miei confronti”.

“Quel saluto nel warm-up di Imola fu uno dei migliori complimenti che io abbia mai ricevuto nella mia carriera. Chi crede che si trattasse di una frase di circostanza a fini televisivi, non ha capito proprio niente. Quella frase per me significa tutto”.

Non può esistere Ettore senza Achille. Non sarebbe stata altrettanto leggendaria la carriera di Ayrton Senna senza Alain Prost, e viceversa. Ciascuno dei due avrebbe certamente vinto molto di più senza l’altro, data la caratura assoluta di entrambi. Ma quei successi non avrebbero avuto lo stesso sapore. E quel tributo reciproco a distanza, intervallato dalle ombre funeste della tragedia, assume la forma di un sigillo inalterabile che certifica l’autenticità della rivalità più affascinante nella storia dello sport automobilistico.

SENNA E PROST, ETTORE E ACHILLE

Potremmo anche fermarci qui, la storia è stata raccontata innumerevoli volte. Tuttavia, già che ci siamo, premiamo il pulsante del “party mode” di hamiltoniana origine, per stare ai giorni nostri, e divoriamo rapidamente la pista in quel giro da pole position che simboleggia la sfida stellare tra quei due grandi campioni del passato. Ci sembra un modo adeguato per rendere omaggio ad Ayrton Senna (nato il 21 marzo 1960), nel giorno in cui 25 anni fa prese violentemente commiato dalla vita. Perché sotto tutti i punti di vista, tranne la parentesi del 1992, l’intera avventura del pilota brasiliano in Formula 1 vive del confronto con Alain Prost.

Tutto cominciò il 6 giugno 1984 a Montecarlo. Sesta gara della stagione, Senna era un promettente esordiente di 24 anni (altri tempi, all’epoca non si arrivava al vertice da bambini) su un’auto non competitiva, la Toleman-Hart. Prost, 5 anni in più, alla sua quarta stagione era un veterano, favorito per il titolo mondiale insieme a Niki Lauda, con cui condivideva il volante dell’imbattibile McLaren-Porsche.

Secondo pronostico, il giorno prima Prost aveva conquistato la pole position; Senna dovette accontentarsi del 13° tempo, a quasi due secondi e mezzo. Senonché domenica la pioggia si era abbattuta sul Principato fin dalla mattina, e continuava incessante. Una situazione che Prost non gradiva. Infatti Nigel Mansell, che partiva secondo, gli soffiò il comando in partenza. Ma il brusco pilota inglese andò presto a sbattere, in folta compagnia.

Quello sconosciuto brasiliano invece emerse dalla riviera superando uno dopo l’altro sia avversari meno noti che gente del calibro di Lauda e Keke Rosberg; in una pista dove i sorpassi sono sempre stati un’impresa anche sull’asciutto. Si trovarono così a contatto: Prost in testa che remava circospetto nel diluvio, Senna dietro che fendeva l’acqua come un siluro, rimontando al ritmo di tre secondi al giro. Per come si stavano mettendo le cose, la vittoria di Senna appariva quasi certa: Prost, calcolando in ottica mondiale con Lauda ritirato, non avrebbe rischiato una resistenza in quelle condizioni e avrebbe lasciato passare il furioso rookie accontentandosi di un utile secondo posto. Ma il direttore di corsa Jacky Ickx ci mise una pezza: arrestò la gara anzitempo, proprio mentre Senna superava il francese. Ma poiché la gara non riprese, la classifica venne compilata tenendo conto della situazione al giro precedente, assegnando metà punteggio poiché era stato coperto meno del 75% dei giri. Quindi la prima battaglia fu di Prost, però il podio consacrò l’astro nascente brasiliano il quale si guadagnò l’appellativo di “mago della pioggia”, ampiamente confermato negli anni a venire.

Saltiamo al 1988. Prost aveva vinto due titoli mondiali, mentre Senna si era fatto le ossa alla Lotus, inferiore a McLaren e Williams, ma abbastanza veloce da permettergli di ricavarne 6 vittorie.

Così Ron Dennis decise di portarlo alla McLaren motorizzata Honda, affiancandolo proprio a Prost. Fu il cappotto, perché i due vinsero 15 delle 16 gare in programma. Il duello interno fra i due cominciò con colpi di fioretto per finire a fendenti di scimitarra. Prost allungò all’inizio, Senna infilò quattro vittorie consecutive che lo riportarono a ridosso del rivale. Poi in Portogallo cominciarono a scambiarsi botte da orbi: Senna strinse Prost contro il muretto, il francese replicò violentemente sulla stampa. Nell’ultima gara in Giappone il brasiliano, dopo un problema in partenza, rimontò 14 posizioni all’avversario, a sua volta attardato da problemi meccanici. Ayrton Senna diventò quindi campione del mondo.

Nel 1989 vennero vietati i motori turbo. La McLaren-Honda fu meno dominante ma rimase la vettura da battere. I suoi piloti, ormai nemici giurati, abbandonarono le spade e cominciarono a prendersi a cannonate, dentro e fuori dalla pista.

Passiamo al tempo presente, perché ci sembra appena ieri e ancora abbiamo negli occhi della memoria quelle immagini. Sol Levante ma rosso sangue come un tramonto western, teatro della singolar tenzone conclusiva. Suzuka, pista della Honda, i giapponesi (e Ron Dennis) tremano all’idea dei disastri che potrebbero combinare quei due nel tentativo di distruggersi a vicenda: come materia e antimateria, scontrandosi possono annichilire in un immane rilascio di energia e annullarsi, lasciando la vittoria ad altre squadre.

Il GP del Giappone è la penultima gara in calendario. Prost ha un vantaggio consistente, Senna è obbligato a vincere entrambe le gare per mantenere il titolo. Il brasiliano conquista la pole position ma in partenza Prost lo sorprende e resta davanti a lungo. L’inseguitore le prova tutte ma il francese ha un minimo vantaggio di velocità in uscita di curva che gli basta per controllare la situazione.

Ayrton Senna ha costruito gran parte della propria reputazione e delle vittorie grazie a quell’istinto killer che lo spingeva a fiondarsi in un sorpasso con la decisione e la rapidità di un cobra quando colpisce la sua vittima, che ci fosse lo spazio o meno. Il più delle volte ha avuto successo; altre, no. Come quel giorno a Suzuka: chicane detta del triangolo, il brasiliano si affianca all’interno; sembra fatta, invece che ti combina il francese? Chiude la porta in anticipo e aggancia l’avversario, i due escono di pista.

Prost si alza e se ne va, ormai certo di aver vinto il campionato. Ma in Senna arde il fuoco vivo del combattimento, per fermarlo devi abbatterlo (non che Prost non ci abbia provato). Si fa spingere dai commissari, riparte, deve fermarsi ai box per cambiare l’alettone ma riesce comunque a vincere. Però ripartendo dall’incidente aveva tagliato la chicane, viene squalificato. Ricorre. Respinto. Prost si aggiudica il terzo titolo.

LO SCONTRO FINALE

Inverno da bufera, Senna è come un lupo arrabbiato, insulta il presidente della federazione Jean-Marie Balestre, accusandolo di aver intenzionalmente favorito Prost, francese come lui. Balestre non la prende bene e lo squalifica per sei mesi. Senna si straccia le vesti e, come Achille, si ritira offeso nel suo campo abbandonando la guerra. Traduzione: minaccia di ritirarsi dalle corse. Nel frattempo Prost passa alla Ferrari. Ron Dennis sfodera tutte le sue abilità di persuasione e convince Balestre ad annullare la squalifica. Così Achille/Ayrton torna sul campo di battaglia per lo scontro finale con Ettore/Alain.

Nel 1990 Ferrari e McLaren sono sostanzialmente ad armi pari. I due contendenti proseguono quella lotta serrata che va avanti ormai da più di tre anni. Colpo su colpo, GP dopo GP, lo spettacolo è sublime. Senna riesce a raggranellare un certo margine che porta con sé fino alla rappresentazione finale, nel teatro preferito da entrambi: Suzuka. Replica del 1989 ma a ruoli invertiti, mancano due gare e ora è Prost a doverle obbligatoriamente vincere entrambe. Ancora come l’anno prima, Senna è in pole ma Prost parte meglio e si trova davanti in fondo al rettilineo, in traiettoria esterna. Come se stessero entrambi leggendo una sceneggiatura, nuovamente Senna s’infila e Prost chiude. Ma questa volta il brasiliano ha giocato veramente d’azzardo. Scontro, tutti e due nella sabbia, gara finita alla prima curva, Senna è campione per la seconda volta. Il francese tanti anni dopo, sorridendo, ha definito quella manovra “un abbordaggio”. Più che altro, uno scambio di favori.

La guerra sembra finita e Alain/Ettore giace sconfitto nella polvere, senza possibilità di rialzarsi. Perché nel 1991 la Ferrari non è all’altezza e anche Prost non sembra più lui, tanto da litigare pesantemente con la squadra (“questa macchina è un camion”, disse) che lo lascerà a terra a fine stagione. Ayrton Senna è senza rivali e si mangia il campionato in un sol boccone.

Sembra il tramonto per il campione transalpino che nel 1992 si ritirerà temporaneamente, definendo quel periodo “anno sabbatico”.

Il 1992 è un anno di sofferenza per Senna, quasi come se l’assenza del rivale di sempre avesse tolto le forze anche a lui. In realtà il problema è puramente meccanico. La McLaren-Honda non è più l’auto migliore. La Williams-Renault con le sue sospensioni attive ammazza il campionato e Nigel Mansell fa subito il vuoto intorno a sé. Ayrton Senna tuttavia riesce a vincere tre gran premi.

Arriva un altro inverno di tempesta. La Williams non riconferma Mansell che se ne va a correre in Formula Indy. Resta libero il sedile di prima guida della macchina migliore. Senna già pregusta il ritorno dell’iride ma ecco che dal cilindro sbuca di nuovo Prost. Finisce l’anno sabbatico ed è più veloce del brasiliano nel firmare con Sir Frank; soprattutto, impone contrattualmente un diritto di veto sull’altro pilota: vade retro, Ayrton. Il quale non gliele manda a dire: “Codardo!”, lo ha apostrofato.

Allora tuonano nuovamente i cannoni. Nel 1993 la Williams è largamente l’auto da battere. Poco da fare per la McLaren-Ford. Prost pensa di fare come Mansell l’anno prima, pronti via e 6 vittorie consecutive. Invece no, troppo facile. La prima parte della stagione è dunque uno scambio di bordate come ai bei tempi; vince uno e poi l’altro, quasi una partita a tennis. Solo dalla settima gara Prost riesce a prendere il largo e a chiudere la questione, anche grazie ai piazzamenti. Cingerà sul capo l’alloro del suo quarto titolo iridato vincendo sette gran premi, contro gli onorevoli cinque del rivale.

Ayrton vince le ultime due corse della stagione. Sul traguardo di Adelaide all’ultima gara (Prost, già campione dopo la corsa precedente, aveva annunciato il ritiro definitivo), quella stretta di mano finale. I due nemici, rivali per tutta la carriera, decidono di seppellire l’ascia di guerra e tributarsi i reciproci onori.

A questo punto Ayrton Senna, dopo 10 stagioni in Formula 1 e 159 gare disputate, ha vinto 3 titoli mondiali e 41 gran premi, oltre a centrare 62 pole position. Purtroppo questo sarà quasi il suo bilancio finale. Nel 1994 passa alla Williams. Ma è andata come sappiamo. Riuscirà ad aggiungere solo 3 pole position, arrivando a 65 (un record durato 23 anni, battuto nel 2017 da Lewis Hamilton).

LA TRAGICA IMOLA

Non vorremmo parlare di ciò che accadde in quello scampolo di 1994, ma dobbiamo farlo per forza. Nel tentativo di arginare lo strapotere della Williams, la politica interna della Formula 1 comportò il divieto delle sospensioni attive. Come risultato, le vetture diventarono molto più nervose, difficili da guidare perché instabili. Senna ebbe il suo bel daffare per mettere a punto la sua Williams ma all’avvio della stagione i problemi erano lontani dall’essere risolti. Sempre più veloce in prova, Senna faticò notevolmente in gara, messo sotto pressione dalla Benetton-Ford del giovane Michael Schumacher, il quale si stava affacciando prepotentemente alla ribalta. Un testacoda mentre inseguiva il tedesco lo costrinse al ritiro in Brasile, mentre in Giappone (ad Aida) venne tamponato nel primo giro dalla McLaren di Mika Hakkinen, altro ritiro.

Imola. Cominciata male, finì peggio. Al venerdì Rubens Barrichello volò fuori alla variante bassa, finendo in ospedale. Al sabato la tragedia di Roland Ratzenberger. Domenica neanche il tempo di commemorare il povero giovane austriaco (cinicamente dimenticato nell’attenzione mediatica, come se il rispetto per una vita umana dovesse essere pesato in base ai successi sportivi), che accadde ciò che accadde. E non dimentichiamo i 15 feriti tra pubblico, meccanici, poliziotti e addetti di percorso a causa degli incidenti successivi alla ripartenza dopo lo schianto di Ayrton Senna.
Restiamo brevi, perché ci fa male ancora oggi. Settimo giro, curva del Tamburello. All’epoca girava con poco angolo verso sinistra, le Formula 1 la prendevano in pieno come un rettilineo. Senna è in testa, entra in curva ma la macchina va via dritta per la tangente. Un urto terribile.

La situazione appare subito disperata. L’elicottero medico atterra direttamente sul circuito per prelevare il pilota brasiliano sul posto e volare verso l’ospedale di Bologna. Ma nulla si può più fare. L’annuncio ferale viene dato alle 18.40: Ayrton Senna è morto.

Tecnicamente è stato ucciso da un braccio della sospensione destra staccatosi dopo l’urto, il quale gli ha perforato il casco ed è penetrato nel cranio, provocandogli le ferite fatali. Il resto del corpo invece non aveva subìto danni particolarmente gravi, l’angolo d’impatto aveva fatto sì che l’energia venisse dissipata soprattutto dalle barriere e dalla macchina.

Dopo 13 anni, il 13 aprile 2007 la Cassazione ha messo fine all’inchiesta giudiziaria decretando che l’incidente è stato causato dalla rottura del piantone dello sterzo che ha reso impossibile il controllo della vettura. Il piantone si è rotto perché era stato modificato male in seguito ad una richiesta del pilota, il quale voleva vedere meglio la strumentazione. Ma il lavoro è stato male progettato e male eseguito, secondo quanto si legge nella sentenza. La responsabilità di ciò è stata attribuita dalla magistratura al direttore tecnico della Williams, Patrick Head, per comportamento omissivo e colposo che ha causato un evento invece prevedibile ed evitabile. Ma la sentenza di condanna per omicidio colposo non ha potuto essere decretata per la scadenza dei termini di prescrizione. Non servono altre parole.

LEGGI ANCHE: L’ultimo GP di Michael Schumacher.

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