Va di moda l’invidia, il più moderno e più antico dei vizi

“Non c’è nessun sentimento, che affascini o incanti come l’amore o l’invidia questo sosteneva Francesco Bacone, filosofo sottile e uomo di potere dell’Inghilterra del Seicento: egli stesso ben conosceva l’invidia, non ultimo motivo del processo per corruzione che interruppe la sua carriera politica.

Dell’amore molto sappiamo, ma dell’invidia quasi nulla, come fosse sottoposta a uno strano, inquietante tabù. L’invidia non ammette di essere scoperta. Agisce nell’ombra. Verso di essa dobbiamo procedere a una sorta di smascheramento, attraverso quei segnali rivelatori tanto velenosi quanto inconfessabili.

Se tutti la provano, quasi nessuno la confessa. Si può ammettere di soffrire di gelosia o di farsi prendere dall’ira ma mai di essere rosi dall’invidia

Invidia moderna

C’è dunque una strana inconsapevolezza verso l’invidia nella modernità, diversamente da quello che avveniva nelle società del passato. Il malocchio è un fenomeno dell’invidia ed è una delle tradizioni popolari più radicate. E da esso ci si proteggeva in più modi: con l’albero della vita, con rituali e con formule che controllavano la paura per i poteri di distruzione e di vendetta che da sempre l’invidia reca.

Oggi una sotterranea invidia si manifesta nella continua conflittualità del nostro vivere. Si prova soprattutto per chi è simile, per le persone che si considerano paragonabili come condizioni di partenza.

Per una donna è bruciante il confronto con una conoscente bella e corteggiata, ma sarebbe sproporzionato con una top model; si invidia il collega che è stato promosso, non l’Amministratore Delegato; addirittura un fenomeno sociale enorme e complesso come l’emergenza immigrazione ha alimentato meccanismi di invidia e risentimento nei confronti degli immigrati rifugiati, che fuggono dal loro paese devastato dalla guerra.

Molto spesso, l’invidia agisce come controllore dell’uniformità di idee, di opinioni, di comportamenti, per colpire chi in qualche modo è diverso o si differenzia attraverso forme di autocontrollo e preoccupazione.

Invidia social

Con l’avvento del social è crollata la barriera dell’informazione permettendo a tutti di spulciare la vita di amici, nemici e personaggi pubblici. Questo fenomeno ha aumentato la nostra tendenza a giudicare e confrontarci con gli altri, soprattutto sul piano dell’amore, delle vacanze, del tempo libero e l’ostentato successo in alcuni ambiti.
Questo continuo rimuginare tra insoddisfazione, confronto e frustrazione può trasformare l’invidia in odio o ancor peggio, in rabbia sociale, che si manifesta come una epidemia di aggressività pericolosa, insidiosa ed infettiva con i suoi corollari di crudeltà, denigrazione e gusto a far male.

Oltre una certa differenza di reddito, però, l’invidia sociale si trasforma curiosamente nel suo contrario. E cioè nell’ammirazione sconfinata, ai limiti dell’idolatria. Vale per i campioni di calcio, influencer, attori famosi e superstar della tv e della musica. Questi modelli di persone invidiabili per cui si prova ammirazione, possono spingere all’emulazione positiva, per cui si canalizzano le energie per cercare di avere lo stesso bene o riconoscimento. Il marketing alimenta questo processo, portando a desiderare i beni degli altri e a comprarli.

I beni di consumo si basano sul fatto che sono esclusivi e chi li possiede è invidiato che, contrariamente all’essere invidioso, è una caratteristica ambita. Sul social il rischio è quello di costruire la propria esistenza in modo da amplificarla e fingere una felicità personale, così da suscitare a sua volta l’invidia di un altro utente. In una spirale di invidia senza fine, si faticherà a riconoscerla o ad ammetterla ma si tenderà, invece, ad attribuirla agli altri.

[Photo free by Pixabay]

Francesca Caon

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