Global Talent Competitiveness Index
Il Global Talent Competitiveness Index parla chiaro: l’Italia non sa attrarre i talenti. Ecco perché. INSEAD, istituto di direzione aziendale internazionale, ha pubblicato il Global Talent Competitiveness Index 2015-16, uno studio annuale fondato sulla ricerca condotta in collaborazione con Adecco Group e HCLI (Human Capital Leadership Institute di Singapore). Il tema di quest’anno, “Capacità di attirare i talenti e mobilità internazionale” verte sulle conclusioni derivate dalla correlazione significativa tra la circolazione dei talenti e la prosperità economica. La mobilità è fondamentale per colmare i gap di competenze; inoltre, un’alta percentuale di lavoratori orientati a innovazione e imprenditorialità sono nati o hanno studiato all’estero. Non sorprende quindi rilevare che i primi in classifica siano destinazioni ambite dai professionisti altamente qualificati. Con l’emergere di nuove forme di flussi migratori, gli organi decisionali devono plasmare politiche e strategie più consone alle questioni urgenti delle comunità locali e agli interessi di più lungo periodo dei cittadini.
I tre paesi migliori in termini di competitività dei talenti sono la Svizzera al primo posto, seguita da Singapore e Lussemburgo, rispettivamente secondo e terzo classificato, a conferma delle posizioni del 2014.
I paesi classificati nella top 10 hanno dimostrato una chiara apertura in termini di mobilità dei talenti — circa il 25% delle rispettive popolazioni di Svizzera e Lussemburgo è nato all’estero; la percentuale sale al 43% a Singapore. La proporzione è significativa anche negli Stati Uniti (4), Canada (9), Nuova Zelanda (11), Austria (15) e Irlanda (16). La top 20 non ha subito modifiche rilevanti rispetto alla pubblicazione dell’ultima edizione della relazione GTCI, fatta eccezione per l’ingresso della Repubblica Ceca (20) nel gruppo, il netto miglioramento della performance della Nuova Zelanda e una modesta flessione per Canada e Irlanda.
L’Italia occupa il 41esimo posto nel ranking che comprende 109 Paesi. Da un lato, il nostro Paese vanta alti standard dal punto di vista della capacità di sviluppare e formare talenti e le loro competenze professionali, dall’altro però non risulta sugli stessi livelli per quanto riguarda la capacità di attrarre nuovi talenti e professionisti. Commentando i risultati, Ilian Mihov, Rettore di INSEAD, ha affermato: “A fronte della rapida evoluzione delle dinamiche dei mercati del lavoro globali, l’indice GTCI assume un’importanza sempre maggiore per i principali influencer alla ricerca di strumenti quantitativi e raccomandazioni che contribuiscano a dare impulso alla competitività e a raccogliere le sfide attuali nel mondo del lavoro; persino le principali economie come Cina, Germania e Brasile
subiranno i contraccolpi delle gravi carenze di manodopera”. Ha aggiunto: “Rileviamo con sollievo che l’enfasi posta dallo studio GTCI 2015-16 sull’importanza della formazione professionale abbia generato feedback positivi in tutto il mondo, e infatti osserviamo un maggiore orientamento verso tale tipo di formazione in molteplici politiche. Negli anni a venire, intendiamo coinvolgere il nostro pubblico globale in un dialogo costante di elevata qualità per confermare il nostro impegno ad assistere i principali influencer e organi decisionali nel rilanciare la competitività dei talenti e la prosperità”.
Bruno Lanvin, Executive Director di Global Indices presso INSEAD, e co-autore della relazione, ha commentato: “Una raccomandazione chiave che emerge dalla relazione riguarda gli stati, che devono imparare a gestire le nuove dinamiche emergenti della “circolazione dei cervelli” con maggiore abilità”. Ha aggiunto: “Mentre la mobilità economica temporanea di figure altamente qualificate potrebbe essere inizialmente considerata come una perdita per il paese di origine, gli stati devono tener conto del guadagno netto che percepiranno al momento del ritorno in patria. Lo sviluppo eccezionale del settore dell’elettronica di Taiwan, grazie ai lavoratori rimpatriati dalla Silicon Valley, è un modello preso ad esempio da molti”.
Ha puntualizzato: “Nuove tecnologie potrebbero creare nuove sfide per i lavoratori aventi livelli diversi di competenze: l’automazione sta annientando i lavori non specializzati; gli algoritmi potrebbero determinare la delocalizzazione delle posizioni che richiedono competenze di livello medio”.
Paul Evans, Professore emerito titolare della cattedra di Risorse Umane e Sviluppo Organizzativo intitolata alla Shell, presso INSEAD, e Direttore Accademico e co-autore dell’indice Global Talent Competitiveness Index, ha sottolineato: “La nostra analisi dei dati globali mostra che la retribuzione, da sola, non basta per attirare e fidelizzare i talenti, anche dall’estero — la qualità della gestione assume infatti un ruolo sempre più importante. Mentre le opportunità di istruzione superiore rimangono un fattore chiave nella capacità di attirare e fidelizzare i talenti, un fattore di richiamo sempre più irrinunciabile coincide con la professionalità delle imprese e delle pratiche di gestione, come dimostrato dall’ottimo posizionamento in classifica dei Paesi Nordici che brillano in termini di meritocrazia, gestione professionale e attenzione verso lo sviluppo dello staff. Un aspetto particolarmente importante per la generazione del millennio, formata dai leader creativi del futuro”.
Alain Dehaze, Chief Executive Officer per Adecco Group, ha inoltre sottolineato: “L’evoluzione del mondo del lavoro procede a un ritmo senza precedenti, introducendo grandi opportunità e sfide. 200 milioni di persone sono disoccupate e l’automazione mette a rischio circa 1 posto di lavoro su 2. A fronte dell’inarrestabilità di digitalizzazione e invecchiamento, l’indice GTCI conferma il ruolo prioritario della mobilità dei talenti al fine di potenziare la competitività e bilanciare eccedenze e carenze di competenze a livello internazionale. I paesi che vantano una reputazione d’eccellenza nel talento dimostrano che, per attirare i talenti, i governi devono investire nell’istruzione e negli hub di conoscenze, nonché snellire la burocrazia e semplificare i mercati del lavoro. Le imprese dovrebbero promuovere la mobilità dei talenti e investire nell’iperconnettività per capitalizzare sulla tecnologia, sfruttare le opportunità offerte dall’economia globale e creare posti di lavoro”.
Wong Su-Yen, Chief Executive Officer di HCLI (Human Capital Leadership Institute), ha commentato: “La circolazione dei talenti negli stati è sostenuta da una serie complessa di fattori economici, politici e sociali. La nascita della Comunità economica dell’ASEAN (AEC) ha dimostrato che gli stati che tradizionalmente attirano i talenti, potrebbero vedersi sottrarre il vivaio locale di talenti ad opera di altri mercati emergenti nella regione. Dobbiamo ricordare che la competitività dei talenti di uno stato non conosce permanenza, e i talenti erranti spesso cercano nuovi orizzonti e opportunità di carriera a livello regionale e globale. La sfida per i paesi, quindi, consiste nel continuare a innovare nei modi in cui sviluppano, attirano e fidelizzano i talenti”.
Andrea Malacrida, Amministratore Delegato Adecco Italia ha commentato: “Sono fiducioso sulla possibilità, anche per il mercato italiano, di poter iniziare a costruire forme di attrazione verso i migliori talenti e candidati. L’alternanza generazionale, in questo caso, può essere un primo passo verso questo obiettivo, così come buone prospettive di miglioramento possono derivare dai percorsi di alternanza scuola-lavoro. E’ inoltre necessario – continua Malacrida – guardare alla mobilità internazionale anche come occasione per i talenti di raggiungere le proprie ambizioni. È importante che chi ha maturato esperienze di lavoro all’estero, però, possa rientrare nel nostro Paese e possa avere la possibilità di valorizzare le proprie competenze”.
Attraverso l’analisi e il confronto delle valutazioni conseguite dai singoli stati, emergono vari pattern e analogie, che convergono verso otto messaggi chiave relativi al tema di quest’anno:
Quest’anno l’indice GTCI ha ottimizzato la copertura geografica, analizzando 109 stati (rispetto ai 93 del 2014), che rappresentano l’83,8 percento della popolazione mondiale e il 96,2 percento del PIL mondiale. Per maggiori informazioni visitate www.insead.edu.
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