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Ferrari Anniversario: la storia straordinaria del cavallino

Ferrari Anniversario
70 anni di storia magica: ecco il lungo racconto che ha reso la Ferrari uno dei marchi più amati nel mondo intero. Dall'11 maggio 1947 ai giorni nostri.

Perché si considera l’11 maggio il giorno in cui la Ferrari festeggia il compleanno? Non era nata prima della guerra? Sì e no. La Scuderia Ferrari, intesa come squadra che partecipa alle competizioni automobilistiche, nacque effettivamente nel 1929; ma portava in pista auto prodotte interamente dall’Alfa Romeo.

Ferrari anniversario: una storia straordinaria

Ci fu poi l’azienda Auto Avio Costruzioni, fondata a Modena da Enzo Ferrari nel settembre 1939 dopo aver lasciato l’Alfa; per un preciso vincolo contrattuale con la casa milanese, Ferrari non avrebbe potuto produrre auto col proprio nome per quattro anni.

Egli costruì un prototipo in due esemplari, chiamato 815, che partecipò in forma privata alla Mille Miglia del 1940 (uno dei piloti era un giovanissimo Alberto Ascari), collezionando due ritiri. Per tutto il periodo bellico produsse macchinari e utensili industriali, trasferendo nel frattempo la fabbrica a Maranello.

Dobbiamo quindi attendere il 1947 per vedere la prima auto costruita col proprio nome dall’azienda di Enzo Ferrari. Si chiamava 125 S, vettura scoperta a due posti, montava un inedito motore V12 da 1.500 cc, progettato da Gioacchino Colombo. Scese in pista per la prima volta in gara l’11 maggio 1947 sul circuito di Piacenza. Per questo motivo viene convenzionalmente considerato quel giorno come data di nascita della Ferrari. L’auto, pilotata da Franco Cortese, si ritirò a due giri dal termine mentre era in testa, a causa di un guasto alla pompa della benzina. Ma il successo non tardò ad arrivare: due settimane dopo, il 25 maggio, Cortese vinse il Gran Premio di Roma, su un circuito ricavato intorno alle Terme di Caracalla.

La storia della Ferrari è stata raccontata innumerevoli volte. In questa sede vogliamo limitarci a tracciare un riepilogo abbastanza schematico, scegliendo per ogni decennio i piloti, le vetture da corsa e i modelli stradali che più hanno caratterizzato tale periodo. Ad ogni modo, quella della Ferrari è soprattutto una storia delle competizioni.

ANNI ’50 – ASCARI E FANGIO, 500 F2, 250 GT E 250 TESTA ROSSA

Alberto Ascari era il figlio di Antonio, grande pilota dell’Alfa Romeo negli anni ’20 nonché amico e collega di Enzo Ferrari. Nato nel 1918, cominciò l’attività sportiva nelle corse motociclistiche negli anni ’30. La prima gara in auto fu proprio sulla 815 Auto Avio Costruzioni prima citata. Nell’immediato dopoguerra si mise in luce nei gran premi della neonata Formula 1 sulla Maserati, vincendo gare importanti. Passato alla Ferrari nel 1950, al volante della 375 F1 diede parecchie preoccupazioni all’imbattibile Alfa Romeo di Juan Manuel Fangio.

Nel 1952 l’Alfa si ritirò e Fangio s’infortunò gravemente. La scuderia di Maranello fece debuttare la Ferrari 500 F2, poiché il regolamento consentiva anche alle vetture di Formula 2 l’iscrizione al campionato di Formula 1. Motore 2.0 aspirato a quattro cilindri, 165 cavalli che diventarono 200 nelle successive evoluzioni. Ascari dominò la stagione 1952 vincendo tutte le 6 gare a cui partecipò (saltò le prime due per prepararsi alla 500 miglia di Indianapolis con la Ferrari 375 Special, conclusa con un guasto), conquistando il titolo di campione del mondo.

La 500 F2 era vincente perché molto leggera e perfettamente bilanciata. Bis nel 1953. La Ferrari vince 7 gran premi su 9, 5 dei quali furono di Ascari, il quale conquistò il secondo alloro iridato. In totale la 500 F2 vinse 14 corse ufficiali su 15 disputate.

Alberto Ascari è stato il più grande rivale di Fangio. Vinse 13 gran premi su 32 disputati, in un’epoca in cui arrivare vivi alla fine della corsa era già un grande risultato. Nel 1954 lasciò la Ferrari per la Lancia. Nel 1955 tutto lasciava supporre che avrebbe conteso fino all’ultimo il mondiale alla Mercedes dell’argentino, ma il 26 maggio il grande campione milanese trovò la morte a Monza, mentre provava in un test privato una Ferrari 750 Sport dell’amico Eugenio Castellotti.

Le vicende di Juan Manuel Fangio s’incrociarono con quelle della Ferrari abbastanza brevemente e furono caratterizzate da una grande turbolenza, dovuta al carattere particolarmente difficile del campione argentino, non che del resto quello di Enzo Ferrari fosse facile.

Nel 1956 Fangio corse nel campionato di Formula 1 per la Ferrari, che utilizzò le Lancia D50 dell’anno prima, cedute ad Enzo Ferrari da Gianni Lancia dopo la morte di Ascari. I rivali più agguerriti di Fangio furono il compagno di squadra Peter Collins e Stirling Moss sulla Maserati. L’argentino si aggiudicò tre gare e vinse il quarto dei suoi cinque titoli mondiali. Ma dovette ringraziare prima Luigi Musso, il quale gli cedette la macchina nella corsa d’esordio in Argentina dopo che quella di Fangio ebbe un guasto; poi proprio Collins, il quale fece la stessa cosa nell’ultima gara a Monza, nonostante egli stesso fosse in corsa per il campionato.

La Ferrari 250 GT fu l’auto stradale più importante di quel decennio. Presentata a Parigi nel 1954, era una coupé disegnata da Pininfarina, montava il motore V12 di Colombo, portato a tre litri e 220 cavalli. Fu la capostipite di una lunga serie di modelli sportivi ma destinati esclusivamente all’impiego stradale. Costituì un salto di qualità importante per la Ferrari, che fino ad allora aveva costruito solo pochi esemplari destinati a clienti che intendevano correre.

La Ferrari 250 GT segnò il passaggio della casa di Maranello dalla dimensione artigianale a quella industriale, attraverso la produzione in serie. La sua bellezza la rende ancora oggi un capolavoro prossimo ad un’opera d’arte.

Dalla 250 GT derivò la vettura da competizione Ferrari 250 Testa Rossa, una delle più vincenti nella storia del Cavallino rampante. Motore derivato dall’auto stradale ma portato a 300 cavalli, carrozzeria di tipo barchetta, in alluminio, di Sergio Scaglietti. Partecipò alle gare sport dal 1957 al 1961, vincendo tre titoli mondiali e tre 24 ore di Le Mans.

ANNI ’60 – PHIL HILL, SURTEES, 250 GTO

Negli anni Sessanta la Ferrari consolidò il suo mito, conquistando successi in quantità e sfornando un’auto più bella dell’altra. Nel 1961 arrivarono tre titoli mondiali diversi. In quell’anno anche Ferrari, in notevole ritardo, si convertì alla soluzione tecnica del motore posteriore. In Formula 1 Phil Hill vinse il campionato del mondo piloti e la squadra quello costruttori, grazie alla 156 F1 progettata da Carlo Chiti, appunto la prima con propulsore montato dietro le spalle del pilota.

L’americano Hill disputò fino all’ultimo il titolo al compagno di squadra Wolfgang von Trips. Ma a Monza il tedesco ebbe un incidente fatale: dopo due giri si scontrò con la Lotus di Jim Clark alla Parabolica e uscì di pista; all’epoca le protezioni sul tracciato erano discutibili, la macchina impattò contro le reti e uccise 14 spettatori assiepati lì dietro, ferendone molti altri. Von Trips, sbalzato dall’abitacolo, morì sul colpo. La gara proseguì, Hill vinse conquistando il titolo.

Il terzo alloro iridato arrivò nel mondiale Sport Prototipi: la Testa Rossa e poi la 246 SP (la prima vettura sport a motore posteriore) dominarono la stagione. Hill vinse la 24 ore di Le Mans per la seconda volta (la prima fu nel 1958, sempre sulla 250 TR). Il mondiale Sport Prototipi fu terreno riservato della Ferrari per gran parte del decennio. Vinse infatti 6 titoli, di cui cinque consecutivi, dominando a Le Mans dal 1963 al 1965. Il momento più alto però fu l’arrivo in parata alla 24 ore di Daytona del 1967, dove la Ferrari 330 P3/4 conquistò l’intero podio assoluto con Lorenzo Bandini e Chris Amon vincitori.

Nel 1962 uscì la Ferrari 250 GTO, ancora a motore anteriore quando la concorrenza era già passata al posteriore. Derivata dalla Testa Rossa, rimane una delle Ferrari più belle di tutti i tempi. Progettata inizialmente da Giotto Bizzarrini poi da Mauro Forghieri e disegnata da Scaglietti, ereditava il classico motore V12 3.0 della TR da 300 cavalli. Fu costruita in soli 39 esemplari, è oggi la Ferrari più costosa in una classifica multimilionaria (in euro). Corse fino al 1964 dominando la classe GT con tre titoli mondiali e piazzandosi sul podio assoluto delle maggiori gare endurance.

Anche nel 1964 ci fu una tripletta iridata di Maranello, poiché arrivò un altro doppio titolo mondiale in Formula 1. John Surtees vinse il campionato piloti e la sua Ferrari 158 quello costruttori. L’inglese Surtees fu l’unico pilota nella storia ad aver vinto titoli mondiali sia in auto che in moto. Nelle due ruote ne vinse ben sette dal 1952 al 1960, nelle diverse classi.

ANNI ’70 – LAUDA, LA FIAT, LA 312 T E LA 308

Nel 1969 Enzo Ferrari, dopo aver respinto nel 1963 un’offerta della Ford, cedette alla Fiat il 50% delle azioni, mantenendo però totale autonomia nella gestione sportiva. Un passo necessario per assicurare un futuro all’azienda, poiché l’epoca dei piccoli costruttori era già tramontata da un pezzo. Il decennio successivo si aprì con l’ultimo titolo mondiale Sport Prototipi; era il 1972 e la 312 P si aggiudicò il campionato marche. Motore 12 cilindri 3.0 boxer derivato dalla monoposto di Formula 1. Dominio assoluto, 10 vittorie in 10 partecipazioni (su 11 totali, assenza a Le Mans). Tra i piloti, Mario Andretti, Jacky Ickx, Arturo Merzario e Clay Regazzoni.

Ma negli anni successivi l’importanza delle corse sport venne meno e Ferrari si concentrò sulla Formula 1. Nel 1975 tornò il titolo che mancava dal 1964. Artefice l’austriaco Niki Lauda che interpretò al meglio la monoposto 312 T. Il suo motore V12 3.0 raggiungeva 495 cavalli. La lettera T indicava il cambio trasversale, che assicurava un migliore bilanciamento delle masse. Da questa vettura derivò la T2, anch’essa vincente. Lauda si aggiudicò il titolo con 5 vittorie. Regazzoni vinse a Monza e contribuì al titolo marche della Ferrari.

Nel 1976 ci fu un grande duello con la McLaren di James Hunt, sebbene Lauda e la Ferrari fossero superiori. Poi ci fu il terribile incidente al Nürburgring; l’austriaco recuperò in fretta e tornò dopo due gare, mentre Hunt vinceva a ripetizione. Poi all’ultima corsa in Giappone, sotto la pioggia, Lauda decise di non rischiare e si ritirò, consegnando il titolo all’inglese per un punto. Anche il 1977 fu molto combattuto. Andretti e la Lotus, Jody Scheckter e la Wolf-Ford e ancora Hunt vinsero parecchie volte.

Ma Lauda fu più costante e la sua Ferrari 312 T2 più affidabile, così si aggiudicarono nuovamente il titolo. Carlos Reutmann sull’altra Ferrari contribuì al titolo costruttori. A fine stagione Lauda decise di lasciare la squadra.
Nel 1978 la Lotus ad effetto suolo spazzò via tutti e Mario Andretti diventò campione del mondo. Ma nel 1979 la Ferrari si riprese ciò che considerava suo con la 312 T4.

La vettura aveva le minigonne come la Lotus ma non era altrettanto efficiente nel creare deportanza, a causa degli ingombri laterali del motore boxer. Il quale però aveva una potenza nettamente superiore. Sospensioni migliori e gomme Michelin radiali appositamente costruite costituivano un pacchetto complessivo più competitivo della concorrenza. Jody Scheckter e Gilles Villeneuve vinsero tre gare ciascuno, ma il sudafricano fu più costante nei piazzamenti e conquistò il titolo. Netta superiorità invece nella classifica costruttori.

Il modello stradale che meglio caratterizza gli anni ’70 è molto probabilmente la 308. Per i meno appassionati, l’auto di Magnum P.I. Introdotta nel 1975, sostituiva la Dino 308 GT4, da cui ereditava il motore V8 3.0, collocato in posizione posteriore centrale. La Ferrari 308 GTB era una berlinetta gran turismo a due posti secchi dalla linea molto dinamica, fatta per attirare un pubblico piuttosto giovane. La carrozzeria, per la prima volta in vetroresina, era disegnata da Pininfarina. Successivamente si affiancò una versione scoperta di tipo targa (cioè con tetto rigido asportabile), appunto quella di Magnum P.I. La vettura ebbe un grande successo commerciale e venne prodotta fino al 1985.

ANNI ’80 – VILLENEUVE, L’ADDIO DI ENZO, LA FERRARI F40

La decade degli Ottanta non portò grandi soddisfazioni sportive alla Ferrari. L’inizio del decennio vide compiersi la breve parabola di Gilles Villeneuve. Talento pari alla sua temerarietà, ottenne pochi risultati tuttavia restò nel cuore dei tifosi proprio per il suo carattere. Ma nel 1980 e 1981 non ebbe vetture all’altezza di farlo vincere. Nel 1982 invece, l’ultimo anno delle wing car ad effetto suolo, la monoposto 126 C2 era competitiva; motore V6 1.5 turbo da 580 cavalli, fu progettata da Harvey Postlethwaite. Il compagno di squadra Didier Pironi si prospettava l’avversario principale di Villeneuve. E in parte lo fu. Ma era una stagione maledetta per altri motivi.

Un guasto e un incidente nelle prime due gare, un podio negli USA ma la squalifica per un’ala irregolare. Si arrivò alla singolare gara di Imola in cui le squadre inglesi boicottarono il Gran Premio per protestare contro la squalifica di Nelson Piquet e Keke Rosberg per irregolarità al G.P. del Brasile; corsero solo Ferrari e Renault, oltre a Osella, Alfa Romeo e Toleman. Ritirate le due vetture francesi per guasti, la gara restò un affare interno alle rosse.

Poi un fatto che ancora oggi è poco chiaro: avendo un vantaggio abissale sul terzo, il box espose ai suoi piloti ad 8 giri dal termine il cartello “Slow”, rallentare, per preservare le auto; significava praticamente congelare le posizioni, secondo Villeneuve; semplicemente non forzare, secondo Pironi; il francese allora superò il canadese che non se l’aspettava; i due ripresero a duellare fino al termine e Pironi vinse. Villeneuve era furioso col compagno e con la squadra, volarono parole grosse. Purtroppo non ci fu il tempo di appianare i dissidi. Due settimane dopo si correva in Belgio, a Zolder.

Il 9 maggio 1982, durante le qualifiche, Villeneuve tentò di superare la March di Jochen Mass; ma i due non si capirono e il tedesco chiuse la traiettoria al ferrarista il quale urtò la sua ruota posteriore e la macchina prese letteralmente il volo. L’urto violento strappò il pilota dall’abitacolo, Villeneuve volò verso le reti di recinzione e colpì col collo un paletto di sostegno. Fu la ferita fatale. Gilles non riprese mai più conoscenza e morì la sera stessa. Il giorno dopo Pironi decise di non prendere il via nella corsa.

Successivamente il francese ottenne buoni piazzamenti che lo portarono in testa alla classifica, ma nelle prove del GP di Germania, ad Hockenheim, disputate sotto una forte pioggia, egli non vide la Renault di Alain Prost e la tamponò violentemente; la sua Ferrari decollò come quella di Villeneuve, ma questa volta le cinture tennero. Il pilota riportò gravissime ferite alle gambe che chiusero anzitempo la sua carriera. Venne comunque classificato secondo nel mondiale, incamerato da Keke Rosberg vincendo una sola corsa, in Svizzera. La Ferrari si aggiudicò comunque il titolo costruttori. Dopo un lungo e doloroso periodo di recupero, Didier Pironi morì il 23 agosto 1987 in un incidente durante una corsa in motonautica. Nel 1983 la Ferrari 126 C3 fu abbastanza competitiva e riuscì a vincere ancora il titolo costruttori, ma nei piloti la spuntò la Brabham BMW di Nelson Piquet.

Solo nel 1985 la Ferrari trovò nuovamente una macchina competitiva, la 156-85. Cominciò bene la stagione e Michele Alboreto lottò ad armi pari per il titolo mondiale con la McLaren di Alain Prost, vincendo due gare e piazzandosi molte volte sul podio. Fino alla vigilia di Monza, quando la Ferrari cambiò le turbine del motore, mettendo le americane Garrett al posto delle KKK tedesche. C’era il dubbio che le KKK date al Cavallino, fornite anche alla Porsche per il motore della McLaren, non fossero della stessa qualità. Allora Enzo Ferrari decise di colpo la sostituzione. Ma il motore era stato progettato per lavorare con le tedesche, quindi cominciarono rotture a ripetizione. Alboreto arrivò 13° a Monza, poi non terminò più una gara e Prost poté vincere il suo primo titolo mondiale.

L’unica consolazione per Maranello arrivò dalla produzione con l’uscita prima della Testarossa, nel 1984, una vettura di grande successo commerciale. Ma soprattutto con l’arrivo nel 1987 della favolosa Ferrari F40. L’essenza della supercar, motore V8 3.0 biturbo da 478 cavalli, telaio in kevlar, carrozzeria (di Pininfarina) in fibra di vetro, fu per alcuni anni l’auto stradale più veloce del mondo con i suoi 324 Km/h di velocità massima. Fu anche l’ultima vettura prodotta sotto la direzione di Enzo Ferrari. Il grande vecchio se ne andò pochi mesi dopo, il 14 agosto 1988 all’età di 90 anni. Quasi un mese più tardi, come per incanto, la Ferrari di Formula 1 centrò una doppietta a Monza. Fu l’unica gara in quella stagione non vinta da una McLaren. Prost ebbe un guasto, Ayrton Senna un incidente, così vinse Gerhard Berger davanti ad Alboreto.

ANNI ’90 – ALAIN PROST, LA 641 F1 E LA F50

La decade dei Novanta fu molto avara di successi. Proprio nel 1990 la Ferrari ebbe la chance di tornare al titolo mondiale. Quell’anno arrivò a Maranello Alain Prost, che l’anno prima aveva vinto il suo terzo alloro dopo due stagioni di fuoco in coabitazione con Ayrton Senna. John Barnard aveva finalmente progettato una monoposto competitiva, la 641 F1. Era finita la folle epoca del turbo da mille e passa cavalli, il motore ora era un più umano V12 3.5 aspirato da 680 cavalli. Monoscocca in fibra di carbonio e kevlar.

Il pilota francese era affiancato dall’inglese Nigel Mansell, velocissimo, matto e funambolico come piaceva ai tifosi. Ma per vincere serviva l’affidabilità di Prost. Il quale non si fece pregare. Vinse la seconda gara in Brasile, poi alcuni problemi di affidabilità permisero alla McLaren di Senna di prendere un buon margine di vantaggio. Ma nella seconda parte della stagione Prost vinse tre gare consecutive e la partita si riaprì. In Portogallo Mansell, che partiva in pole, chiuse in modo esagerato Prost alla partenza, facendogli perdere diverse posizioni e importanti punti in classifica.

A Suzuka l’epilogo della stagione, come l’anno precedente a parti invertite. Prost doveva obbligatoriamente vincere la gara, altrimenti il mondiale sarebbe andato a Senna. Il francese partì in pole, il brasiliano secondo, il quale alla prima curva tentò di passare dove lo spazio non esisteva: collisione e tutti e due nella sabbia, replay dell’anno prima. Vendetta? Non è mai stato del tutto chiaro. Comunque Senna vinse il titolo. Nel 1991 invece non ci fu storia, la Ferrari sbagliò la macchina e non la indovinò più per diversi anni ancora.

Nel 1996, zitto zitto, un certo Michael Schumacher, campione del mondo nei due anni precedenti, sbarcava a Maranello, ma la squadra impiegò qualche anno per costruirgli intorno una macchina vincente. Quando nel 1999 sembrava arrivata la volta buona con la F399, il tedesco ebbe quel grave incidente a Silverstone che gli spezzò la gamba destra, mettendolo fuori combattimento per tutta la stagione. Il suo compagno di squadra Eddie Irvine ebbe la chance di giocarsela e ci provò fino in fondo, ma per due punti non riuscì a raggiungere la McLaren di Mika Hakkinen, il quale conservò il titolo conquistato l’anno precedente. Però la Ferrari si consolò col campionato costruttori, che mancava dal 1983.

Dal lato produzione dobbiamo ricordare la Ferrari F50, costruita dal 1995 al 1997, vettura celebrativa per i 50 anni dell’azienda. Il motore V12 derivava direttamente dalla monoposto di Formula 1 641, quella di Prost e Mansell. Ma dalla massima serie provenivano anche il telaio in fibra di carbonio e le sospensioni. Poi un’aerodinamica in grado di tenere incollata all’asfalto la macchina anche ad accelerazioni laterali di 1,4 G. Design mozzafiato di Pininfarina.

GLI ANNI 2000 – SCHUMACHER, LA F2004 E LA ENZO

E’ storia ma in parte ancora cronaca. La prima metà del XXI secolo è stata letteralmente dominata dalla perfetta fusione tra il pilota più vincente di tutti i tempi e una squadra che ha saputo costruirgli intorno macchine alla sua altezza e un team in pista che lo ha assecondato ad un livello eccelso. Ripercorrere qui l’intera carriera di Michael Schumacher non è possibile, servirebbe ben altro spazio. Limitiamoci ai numeri. Dal 2000 al 2004 ha vinto 5 titoli mondiali consecutivi, nessuno lo aveva mai fatto prima e finora nessun altro lo ha ripetuto dopo. Quando si è ritirato (per la prima volta) nel 2006, lo ha fatto a quota 7 titoli e 91 gran premi vinti.

Nel 2000 la F1-2000 fu subito competitiva e il tedesco prese un largo margine ma nella seconda parte della stagione la McLaren di Hakkinen recuperò alla grande. Però Schumacher riprese il comando con autorità nell’ultima parte e riportò il titolo piloti a Maranello, un’assenza che durava dal 1979. Nel 2001 dopo un inizio combattuto contro la McLaren di David Coulthard, Schumacher emerse alla distanza e volò via irraggiungibile, conquistando il titolo con quattro gare di anticipo. Nel 2002 la superiorità di Schumacher e della Ferrari F2002 fu imbarazzante.

Nessun rivale, il tedesco vinse il mondiale addirittura con 6 gare di anticipo. Nel 2003 qualche modifica al regolamento mirata ad azzoppare il Cavallino ebbe solo il temporaneo effetto di far partire male Schumacher, il quale si trovò dopo tre gare sotto di 16 punti dalla McLaren di Kimi Raikkonen. Ma arrivò poi la nuova macchina e Schumi vinse tre gare di seguito. Tuttavia qualche problema c’era, quindi la situazione rimase molto ravvicinata fino all’ultima gara, dove il tedesco incamerò i punti sufficienti a riconfermarsi campione del mondo.

Arriviamo al capolavoro del 2004. La macchina, la F2004, fu semplicemente insuperabile. Il V10 3.0 da 930 cavalli era accompagnato da un’eccellente efficienza aerodinamica, nonché da un’elevata affidabilità generale. Risultato: 15 vittorie su 18 gran premi, oltre a 12 pole position. A Schumi fu affibbiato il soprannome di “cannibale”; forse 12 vittorie nelle prime 13 gare c’entravano qualcosa (a Montecarlo fu tamponato da Montoya durante un regime di safety car). Rubens Barrichello, il suo compagno di squadra, riuscì a strappargliene due a fine stagione. Titolo numero 7.

Nel 2005 invece le cose non andarono bene. Il titolo fu combattuto dalla Renault di Fernando Alonso e la McLaren di Raikkonen, la spuntò lo spagnolo. Ma nel 2006 la Ferrari ritrovò competitività e nella seconda parte della stagione diventò la macchina migliore. Schumacher combatté come un leone ma una rottura del motore a Suzuka, alla penultima gara, consegnò ad Alonso un vantaggio incolmabile. Dopo di che Michael Schumacher decise di chiudere quel fantastico capitolo, uno dei più avvincenti nell’intera storia dell’automobilismo.

Tuttavia nel 2007 la Ferrari vinse di nuovo. Questa volta con Kimi Raikkonen, all’ultima gara per un punto, approfittando non poco della feroce lotta interna in casa McLaren fra Alonso e l’esordiente Lewis Hamilton. I punti di Felipe Massa, che vinse tre gare, portarono al successo anche nel titolo costruttori.

Nel 2008 è arrivato l’ultimo titolo in Formula 1. La F2008 era una monoposto molto veloce e competitiva ma afflitta da problemi di affidabilità. Felipe Massa, che vinse 6 gran premi, arrivò ad un soffio dal diventare campione del mondo ma fu beffato dalla McLaren di Lewis Hamilton all’ultima gara. Raikkonen vinse due gare e accumulò abbastanza punti per far vincere alla Ferrari il campionato costruttori.

Nel 2009 la F60 non fu all’altezza della Brawn-Mercedes, che vinse poi il mondiale con Jenson Button, né della Red Bull-Renault, la macchina migliore nella seconda parte della stagione, soprattutto con il giovanissimo e sempre più minaccioso Sebastian Vettel. L’unica vittoria del Cavallino fu in Belgio con Raikkonen.

Per i modelli stradali, di quel decennio ricordiamo la Enzo. Erede della F50 e ovvio omaggio al fondatore, fu prodotta dal 2002 al 2004 in 400 esemplari. Motore aspirato V12 6.0 da 660 cavalli, telaio e carrozzeria in fibra di carbonio, freni carboceramici. Aerodinamica molto sofisticata, la deportanza arriva quasi interamente dal fondo piatto e dagli estrattori al posteriori. Accelerazione 0-100 in 3,6 secondi, non è mai stato detto nulla di ufficiale riguardo la velocità massima, presunta superiore a 350 Km/h. Design di Pininfarina.

ANNI 2010 – ALONSO E VETTEL, L’IBRIDA LAFERRARI

Passiamo al tempo presente, perché parliamo quasi di oggi. Nel 2010 arriva a Maranello Fernando Alonso al posto di Raikkonen. La stagione comincia sotto i migliori auspici, la F10 è competitiva e centra una doppietta all’esordio in Bahrain con lo spagnolo davanti a Massa. Ma successivamente c’è un sensibile appannamento, mentre le Red Bull di Sebastian Vettel e Mark Webber cominciano ad emergere e le McLaren di Hamilton e Button raccolgono tutto il possibile.

Nella seconda parte della stagione Alonso vince altre tre gare e si riporta in vantaggio. All’ultima gara in Dubai gli basterebbe arrivare quarto per vincere il mondiale, invece errori di scelte nei pit stop fanno retrocedere molto lo spagnolo, il quale fa una fatica enorme nel superare auto normalmente più lente. Chiude settimo mentre Vettel conquista la gara e il suo primo titolo mondiale.

Nel 2011 non c’è storia. Vettel e la sua Red Bull-Renault dominano fin dall’inizio. La Ferrari si consola con il solo successo di Alonso a Silverstone. Invece nel 2012 la situazione è un po’ diversa. La F2012 è combattiva, Alonso vince tre gare e contende il titolo a Vettel fino all’ultima corsa, piuttosto rocambolesca in Brasile sotto la pioggia. Alonso finisce secondo e Vettel sesto (essendo precipitato fino all’ultima posizione dopo un incidente), gli basta per conquistare il terzo titolo mondiale. La stagione 2013, l’ultima per i motori V8 aspirati, sembra equilibrata.

Alonso vince due gare e pare giocarsela con Vettel, mentre le Mercedes di Hamilton e Nico Rosberg fanno da outsider. Poi però Vettel infila un finale di stagione pauroso, alla Schumacher: vince le ultime 9 gare, una dietro l’altra e s’incorona campione del mondo per la quarta volta.

Nel 2014 comincia l’era dei motori ibridi e la Mercedes spazza via subito tutti. In Ferrari torna Raikkonen e va via Massa, però la macchina ha diversi problemi e non è mai competitiva. Inoltre la squadra tedesca è di un altro pianeta e vince 16 gran premi su 19. Hamilton si aggiudica il suo secondo titolo.

Nel 2015 sembra esserci una rinascita. Alonso se ne va e arriva a Maranello nientemeno che Sebastian Vettel. Le ambizioni sono molte e la macchina è decisamente migliore. Però la Mercedes continua a fare storia a sè e vince ancora 16 gare su 19. Se non altro Vettel si prende la soddisfazione di vincere le altre tre gare. Hamilton è ancora campione. Eccoci al 2016, si pensa alla riscossa e invece la macchina è un vero disastro. La Mercedes macina ancora tutti e vince 19 gare su 21. Ma questa volta diventa campione Nico Rosberg, il quale in inverno sorprende tutti annunciando il proprio ritiro. E siamo al 2017. Stagione in corso, la storia sembra molto diversa. Vettel e la Ferrari hanno cominciato alla grande, lottando ad armi pari con la Mercedes.

Chiudiamo questa carrellata sui 70 anni della Ferrari parlando del modello stradale più innovativo di questa decade, finora. Cioè la Ferrari laFerrari, nome molto strano per un’auto molto particolare, almeno per quanto riguarda le abitudini di Maranello. E’ infatti la prima Ferrari stradale ibrida, uscita nel 2013. Al motore a benzina V12 6.2 aspirato abbina un motore elettrico che porta la potenza complessiva alla bellezza di 963 cavalli. Stupefacente. Nel 2016 è stata affiancata dalla versione spider, cioè laFerrari Aperta. E ora guardiamo al futuro.

CURIOSITA’: Ferrari: ecco perché è un cavallino rampante.

LEGGI ANCHE: Ferrari 812 Superfast: fascino intrigante dal sapore vintage.

Qui il sito ufficiale della Rossa.

[Photo free by Pixabay]

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